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I musei italiani sono social?

I social media non rappresentano certo una novità nel campo museale. Importanti musei del Regno Unito e negli Stati Uniti comunicano in questo modo da quando Facebook è stato inventato e la figura del ‘responsabile della comunicazione digitale’ è un lavoro riconosciuto.

Se i musei italiani si rivelano in ritardo su questo fronte, la ragione è da ricondurre alla predominanza di musei statali, le cui strutture burocratiche sono resistenti al cambiamento, a corto di liquidità e gestiti da politici che fanno parte della generazione pre-Internet. Tuttavia, è anche sintomatica la convinzione infondata che la cultura del paese non meriti promozione o investimento.

Si parla molto della necessità di investire in cultura ogni qualvolta vi è un crollo a Pompei o la chiusura di un museo o di una libreria a causa della mancanza di fondi. Florens 2012 è stato un grande evento, dedicato a questa sola necessità: investire in cultura come motore dell’economia. Ma l’importanza delle comunicazioni e l’impatto che i social media e le tecnologie digitali possono avere sia sulla promozione che sulla diffusione della cultura e del loro finanziamento, raramente vengono indicati come parte della soluzione.

Ad Aprile 2013, un movimento chiamato Invasioni Digitali, sorto apparentemente dal nulla, ha invitato le persone a prendere, nelle loro mani, le comunicazioni museali digitali.  Quasi 9.500 persone hanno partecipato a 225 eventi in tutta Italia, con una produzione di 10.978 foto, pubblicamente ricercabili. Il manifesto del movimento invita a nuove forme di comunicazione per promuovere il vasto patrimonio culturale e ad un rapporto più diretto tra i contenuti del museo e i visitatori tramite internet in generale e i social media nello specifico.

Così, sono circa 10.000 gli utenti di smartphone che vorrebbero un approccio più amichevole e digitale da parte dei musei. Nel frattempo, un numero leggermente superiore pari a 24 milioni di utenti italiani di Facebook sono fan dei pochi musei italiani che usano attivamente la piattaforma. Il sito web indipendente Museo Analytics tiene traccia dei dati social per i musei di tutto il mondo e anche se la loro lista è incompleta, i dati riguardanti l’Italia sono deprimenti.

Secondo il numero di fan su Facebook ad oggi (23 Maggio 2013), il museo di arte contemporanea MAXXI di Roma, con i suoi 57.799 fan, è classificato all’ 87° posto nel mondo, seguito dal MART di Rovereto classificato al 110°. Il museo MAXXI ha ricevuto il premio ICOM Italia nel 2012 per il museo più social, guardando non solo ai numeri ma anche alla strategia e ai risultati. Il secondo classificato è stato il Mart, primo museo italiano su Twitter. Entrambi, musei di arte contemporanea con personale presente nel dipartimento della comunicazione, hanno capito che il linguaggio dei social media è in grado di rendere l’arte più accessibile a tutti. Postano, ogni giorno, contenuti di vario genere, ricevendo interazioni gratificanti da parte del pubblico. L’unico aspetto sbagliato è che comunicano solo in lingua italiana. Si tratta di una scelta ponderata basata sul pubblico prevalentemente italiana, ma che esclude automaticamente il coinvolgimento di fan internazionali.

Secondo i dati del sito Museum Analytics, resa più accurata attraverso la mia ricerca, meno di 60 musei in Italia sono su Facebook e solo 25 sono su Twitter. Il numero totale di appassionati di musei in Italia sono circa 400.000, quasi al pari di quelli del Guggenheim Museum di New York. I musei del nord Italia stanno agendo meglio di quelli del sud.

Torino risulta essere la città italiana con i musei più social. Di questi, Palazzo Madama è degno di nota per aver fatto un lavoro particolarmente buono integrando iniziative online ed offline ed avendo recentemente eseguito una campagna di crowdfunding di successo (il primo in Italia) per l’acquisizione di una collezione di porcellane del XVII secolo e la raccolta di 89.000 euro da oltre 13.000 sostenitori online.

Quasi la metà dei musei italiani su Facebook sono in Toscana, dove il Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze emerge in cima alla lista con i suoi 17.5005 fan su Facebook e 689 followers su Twitter. I loro aggiornamenti sono divertenti e frequenti ma sono solo in italiano. Il Museo Piaggio a Pontedera (Pisa) è al secondo posto con 7.668 fan, molto probabilmente dovuta alla passione per la Vespa in generale. In terzo luogo vi è il Museo del Tessuto (Prato), l’unica pagina bilingue (inglese/italiano), che recentemente ha eseguito il primo crowdsourced curation in italia – a cura di Flod. Palazzo Strozzi e il CCC Strozzina (Firenze) si collocano in posizione 4 e 5, entrambi forti su Twitter.

Sicuramente, con i suoi 1.777 milioni di vistatori (nel 2012), la Galleria degli Uffizi di Firenze poteva avere mezzo milione di fans senza nemmeno provarci troppo, ma la pagina del Polo Museale Fiorentino – nome poco associato agli Uffizi e poco conosciuto dagli non addetti ai lavori – ha solo 734 fan e comunica esclusivamente in italiano.

Tuttavia, la Galleria degli Uffizi non ha bisogno di mezzi di comunicazione social così tanto quanto i musei meno conosciuti, che possono invece utilizzare piattaforme come Facebook per raggiungere nuovi individui e incoraggiarli non solo a visitare, ma a farlo in maniera attiva. Anche se l’impegno social non sempre si traduce immediatamente in presenza fisica, ha comunque il vantaggio di estendere gli obiettivi educativi dei musei in un contesto virtuale. Inoltre, i fedeli fan dei social possono essere chiamati a contribuire fondi via crowdfunding o a condividere contenuti nello spazio del museo – due pratiche ormai popolari a livello internazionale che hanno dimostrato di poter aumentare il senso di coinvolgimento del pubblico con l’istituzione culturale.

In un mondo in cui siamo sempre più connessi, una presenza sociale è un dovere per ogni istituzione culturale che voglia mantenere o far crescere i propri visitatori in un’ottica che si rivela in piena linea con lo stile di vita contemporaneo. L’Italia, quindi, non può permettersi di rimanere indietro su questo fronte.

Traduzione dell’articolo di Alexandra Korey su The Florentine “Are Italy’s museums social?”

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